Trasformazione del rapporto di lavoro da part time in full time – sentenza Corte Appello Bari – Sezione lavoro – 5.6.2023
Con la sentenza in commento la Corte di Appello di Bari – Sezione lavoro –, recependo integralmente le argomentazioni addotte dal nostro studio legale in sede di costituzione in giudizio, ha rigettato l’appello proposto da un Ente locale avverso la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia che aveva riconosciuto il diritto del lavoratore alla trasformazione del rapporto di lavoro da part-time in full-time.
La domanda del lavoratore trovava il proprio fondamento giuridico nell’art.6, comma 4, D.L. n.79/1997, convertito in L. n.140/1997, e nella corrispondente disciplina dettata dal CCNL Comparto Regioni Autonomie Locali (attuale CCNL Comparto Funzioni Locali).
In particolare, in base alla citata disposizione legislativa “I dipendenti che trasformano il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale hanno diritto ad ottenere il ritorno a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, nonché alle successive scadenze previste dai contratti collettivi. La trasformazione del rapporto a tempo pieno avviene anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive vacanze”.
Tale disciplina è stata trasfusa nel CCNL Comparto Regioni Autonomie Locali del 14.9.2000, il cui art.4, al comma 14, stabilisce che “I dipendenti con rapporto a tempo parziale hanno diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico”.
La citata disposizione contrattuale è stata confermata anche dal CCNL di Comparto del 21.2.2018 (v. art.53, comma 13), nonché dall’attuale CCNL Comparto Funzioni Locali del 16.11.2022 (v. art.2), non risultando disapplicato l’art.53 CCNL 21.2.2018.
La peculiarità della fattispecie esaminata dalla Corte di Appello di Bari risiedeva nel fatto che il lavoratore, assunto originariamente a tempo pieno presso un altro Ente locale, era transitato nei ruoli del Comune appellante in forza di una procedura di mobilità, all’esito della quale era stato stipulato tra le parti un contratto di lavoro part-time.
La sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il diritto del lavoratore alla trasformazione in full time del rapporto di lavoro, era stata, pertanto, cesurata sotto diversi profili e, in particolare, in grado di appello veniva sostenuto che la procedura bandita dall’Ente avrebbe implicato l’instaurazione con il lavoratore di un nuovo rapporto di lavoro che rendeva inapplicabile la predetta disciplina alla fattispecie. Sosteneva, infatti, l’appellante che nel caso di specie, nel passaggio da un Ente all’altro, non si sarebbe realizzata una modificazione meramente soggettiva del rapporto di lavoro, in quanto sarebbe stato modificato un elemento oggettivo del rapporto di lavoro, costituito dal regime orario della prestazione lavorativa, tanto è vero che il bando prevedeva la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro e, quindi, l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, appunto, part-time.
In ogni caso, con il secondo motivo di gravame il Comune appellante sosteneva che le norme sopra citate non erano applicabili alla fattispecie, non essendo sufficiente a tal fine la identità e continuità del rapporto di lavoro, essendo necessaria anche l’identità della parte datoriale presso cui avrebbe dovuto operare il ritorno a tempo pieno del lavoratore.
Con altro motivo di appello l’Ente sosteneva, inoltre, che ulteriore ostacolo alla trasformazione del rapporto di lavoro in full time era rappresentato dalla mancata previsione di tale possibilità nella programmazione triennale del fabbisogno, con la conseguenza che ciò avrebbe determinato un imprevisto aggravio sul bilancio dell’Ente.
Tutti i rilievi formulati dall’Ente sono stati, tuttavia, ritenuti infondati dalla Corte di Appello di Bari.
Infatti, come era stato puntualmente evidenziato da questa difesa in sede di costituzione in giudizio, la Corte di appello ha riscontrato che effettivamente la procedura bandita dall’Ente integrava una procedura di mobilità ex art.30 TUPI, la quale, per costante insegnamento della Corte di legittimità (cfr. Cass. n.431/2019), determina una mera modificazione soggettiva della figura datoriale ed è inquadrabile nell’istituto della cessione del contratto da una P.A. cedente ad un’altra cessionaria ai sensi dell’art.1406 c.c..
La mobilità esterna, dunque, si distingue dalle procedure concorsuali dirette all’assunzione del personale, le quali sono preordinate, invece, alla costituzione ex novo di rapporti di lavoro. Nella sentenza in commento, pertanto, la Corte di Appello ha rilevato che nel caso di specie proprio l’attento esame della documentazione allegata agli atti causa, che l’Ente asseriva essere stata erroneamente apprezzata dal Giudice di primo grado, consentiva di dissipare ogni dubbio in ordine alla reale natura della procedura bandita dall’appellante, appunto, di mobilità esterna.
Né, secondo la Corte, in senso contrario si sarebbe potuto valorizzare il termine “assunzione” riportato in alcuni passaggi dell’avviso di mobilità, stante la necessità di interpretare il predetto atto attraverso l’esame del contenuto complessivo delle clausole ivi contenute, senza arrestarsi al significato delle singole espressioni utilizzate, in considerazione della natura eminentemente privatistica dell’avviso, dovendosi, pertanto, fare ricorso ai noti canoni ermeneutici di cui agli artt.1362 e ss. c.c., applicabili anche agli atti unilaterali, e, in particolare, a quello di cui all’art.1363 c.c. secondo cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
La stipulazione di un nuovo contratto di lavoro con l’Ente appellante, pertanto, non era stata funzionale alla costituzione ex novo del rapporto di lavoro, ma alla sua trasformazione da full time in part time, essendo a tal fine espressamente prevista la forma scritta (v. art.8 D. Lgs. n.81/2015, art.4, comma 13, CCNL Comparto Regioni Autonomie Locali del 14.9.2000).
La modifica dell’orario di lavoro, dunque, non incideva sulla configurabilità della fattispecie di cui all’art.30 TUPI (mobilità per passaggio diretto), in quanto l’orario di lavoro (proprio perché per legge e per CCNL può essere modificato nel corso del rapporto di lavoro) non rappresenta un elemento qualificante del rapporto, la cui modifica sia suscettibile di comportare la costituzione di un nuovo rapporto lavoro, come, invece, accade nel caso di modifica dell’inquadramento contrattuale. Nel caso di specie, infatti, il lavoratore aveva conservato lo stesso inquadramento contrattuale (Cat. C), le stesse mansioni e lo stesso trattamento economico (Cat. C1, p.e. C2) che rivestiva presso l’Amministrazione di provenienza.
La Corte di Appello ha, poi, ritenuto infondata la tesi dell’Ente appellante secondo cui ai fini della trasformazione del rapporto di lavoro sarebbe stata necessaria, comunque, l’identità della parte datoriale rispetto a quella presso cui dovrebbe operare il ritorno a tempo pieno del lavoratore. Tale tesi, infatti, secondo la Corte di appello, si pone in contrasto con il dato letterale della norma (art.4, comma 14, CCNL 14.9.2000, trasfuso nell’art.53, comma 13, CCNL 21.2.2018) ed è smentita sia da un parere dell’ARAN reso in un caso analogo (RAL_1962_Orientamenti applicativi) e sia dai principi affermati in analoga fattispecie dalla Corte di legittimità nella sentenza n.27398 del 23.10.2018.
La Corte di appello ha rigettato anche il motivo di appello basato sulla mancata previsione, in sede di programmazione triennale del fabbisogno, della possibilità di trasformazione dei rapporti di lavoro part time in full time. A tal proposito, infatti, è stato richiamato il costante insegnamento della Corte dei Conti secondo cui la procedura di mobilità ha carattere di neutralità finanziaria ove effettuata tra Enti sottoposti a limitazioni nelle assunzioni, in quanto la stessa non genera, a livello di comparto pubblico, alcun aumento complessivo della spesa di personale. Del resto, rileva la Corte, il giudice contabile (cfr.: Corte dei Conti – Sezione Regionale di controllo per il Veneto – n.003/2009/PAR; Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Lombardia – n.251/2014/PAR) si è pronunciato proprio sulle implicazioni degli artt.4, comma 13, CCNL 14.9.2000 e 6, comma 4, D.L. n.79/97, smentendo la tesi propugnata dall’Ente appellante.
Infine, la Corte di Appello ha ritenuto inammissibile il motivo di appello con cui era stata censurata dall’Ente locale la data di decorrenza della trasformazione del rapporto di lavoro in full time, in quanto alcuna censura era stata sollevata al riguardo in primo grado.
Avv. Lucia Martino