PATTO DI PROVA, ECCO I CASI IN CUI PUO’ ESSERE PROLUNGATO

Il cd. patto di prova è una clausola accessoria del contratto di lavoro che prevede, appunto, l’espletamento di un periodo di prova al termine del quale l’assunzione diviene definitiva.
La sua funzione è, dunque, quella consentire alle parti di valutare reciprocamente l’effettiva convenienza alla definitiva costituzione del rapporto di lavoro. Infatti, durante il periodo di prova il datore di lavoro ha la possibilità di accertare le capacità del lavoratore, e quest’ultimo può valutare l’entità della prestazione richiesta e le condizioni di svolgimento del rapporto.
In particolare, il patto di prova presenta le seguenti caratteristiche:
– deve risultare da atto scritto ai sensi dell’art. 2096 c.c., a pena di nullità assoluta e conseguente definitività dell’assunzione;
– deve indicare in maniera specifica le mansioni che il lavoratore dovrà espletare, tale onere può essere assolto anche mediante indicazione della qualifica di assunzione, ove corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica;
– deve avere una durata massima individuata dai CCNL, che non può in ogni caso eccedere il limite di 6 mesi.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità (principio della libera recedibilità) e, in particolare, il datore di lavoro non è tenuto a fornire alcuna motivazione circa il mancato superamento della prova. Il recesso può essere disposto in qualsiasi momento, salvo il caso in cui il patto di prova stabilisca una durata minima necessaria; in tal caso la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza di tale termine.
Cass. Ord. Sez. L. n. 9789 del 26.05.2020
Con l’ordinanza n. 9789/2020 la Cassazione ha affrontato la questione della durata del periodo di prova e, in particolare, della legittimità di un suo prolungamento rispetto a quella prevista dal CCNL.
Secondo la Suprema Corte, la clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista dal CCNL applicabile al rapporto può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi.
L’onere di provare tale circostanza, ovvero l’incongruità del periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva e, dunque, la necessità di un suo prolungamento a livello di contratto individuale, ricade sul datore di lavoro, poiché l’estensione dell’esperimento comporta anche una più ampia facoltà di poter licenziare il dipendente per mancato superamento della prova.
Di conseguenza, la clausola del contratto individuale con cui il patto di prova è fissato in un termine maggiore di quello stabilito dalla contrattazione collettiva di settoredeve essere sostituita di diritto, salvo che il datore di lavoro riesca a provare che il prolungamento previsto si giustifichi per la particolare complessità delle mansioni affidate al lavoratore.