La tutela del lavoratore divenuto inidoneo alle mansioni: commento ad ordinanza Tribunale Foggia – Sez. Lav. – 08.01.2021 – Dott.ssa M. Sgarro – confermata da Tribunale Foggia – Sez. Lav. – 15.4.2021 – Dott. S. Antonucci
La vicenda sulla quale si è pronunciato il Tribunale di Foggia nelle ordinanze cautelari in commento trae origine da un provvedimento di trasferimento disposto nei confronti di un lavoratore dipendente da un’azienda di trasporto pubblico, che era stato giudicato inidoneo alle originarie mansioni di autista.
Il provvedimento di trasferimento veniva adottato dopo che illegittimamente il lavoratore per alcuni mesi era stato collocato d’ufficio in aspettativa, sebbene in sede di ricorso avverso il giudizio di inidoneità alle mansioni lo stesso lavoratore (al di là dello specifico obbligo in tal senso previsto in capo al datore di lavoro) avesse formulato richiesta di essere adibito a mansioni di altro profilo professionale, compatibili con le asserite minorate condizioni fisiche.
Il rapporto di lavoro in questione era disciplinato dal D.M. n.88/1999 che, all’art.4 dell’All. A, stabilisce quanto segue: “I dipendenti che, alla visita di revisione non vengono trovati in possesso di tutti i requisiti di cui al precedente art.3, possono essere giudicati ancora idonei, in relazione alla disponibilità dei posti, a mansioni di altro profilo ritenute compatibili con le minorate condizioni fisiche e possono essere eventualmente autorizzati all’uso di apparecchi protesici e correttivi ritenuti adatti. ……”.
Il lavoratore, dunque, si rivolgeva al Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia impugnando il provvedimento di trasferimento e, in particolare, contestando che il posto di operatore di manutenzione, presso la nuova sede di lavoro cui era stato addetto, fosse l’unico posto disponibile, compatibile con le sue condizioni fisiche e di salute.
Nel costituirsi in giudizio il datore di lavoro, non solo non assolveva all’onere probatorio a suo carico, ma, addirittura, affermava che da tempo era in corso un processo di riorganizzazione aziendale che aveva portato a sopprimere numerose posizioni lavorative presso le sedi Foggia e San Severo, presso le quali il lavoratore chiedeva di essere assegnato.
Tali circostanze, tuttavia, venivano smentite nel corso del giudizio cautelare, in quanto venivano prodotti dal lavoratore documenti attestanti nuove assunzioni nel frattempo effettuate dall’Azienda presso le sedi di Foggia e San Severo, addirittura, con lo stesso profilo professionale e per lo svolgimento delle stesse mansioni assegnate al lavoratore presso la nuova sede di lavoro.
Il Tribunale di Foggia, pertanto, con ordinanza del 8.1.2021, confermata da quella emessa il 15.4.2021 in sede di reclamo, ha accolto il ricorso cautelare del lavoratore ed ha ordinato alla Società resistente di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute presso sedi lavorative (Foggia – San Severo) prossime alla sua residenza.
Le predette ordinanze ribadiscono alcuni importanti principi affermati in materia dalla Corte di legittimità, con particolare riferimento ai criteri di riparto dell’onere della prova e all’importanza di un comportamento improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr., tra le tante: Cass. nn.18506/2017):“In caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore alle mansioni originarie, la richiesta di quest’ultimo di assegnazione a mansioni diverse, comporta, per il datore di lavoro, l’obbligo di adibizione del prestatore di lavoro ad altre posizioni di utile collocazione compatibili con le condizioni di salute del lavoratore, ovvero l’onere di provare la indisponibilità di tali posizioni, senza che tale onere sia in alcun modo condizionato dalla previa allegazione, da parte del lavoratore, di posizioni specifiche esistenti in azienda, posizioni che il prestatore di lavoro non è tenuto a conoscere e che potrebbero, in ipotesi, anche essere estranee alla sua sfera di conoscibilità”.
In particolare (cfr.: Cass. n.13511/2016), è stato affermato che: “L’art. 42 del d.lgs. n. 81 del 2008, nel prevedere che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, nell’inciso “ove possibile” contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell’impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo di ricercare – anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto – le soluzioni che, nell’ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell’onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l’attuazione dei detti diritti”.
Il lavoratore, peraltro, nel giudizio cautelare aveva richiamato anche le più recenti sentenze nn.13649/2019 e n.6798/2018 della Corte di Cassazione, che hanno affrontato la particolare tematica alla luce degli obblighi rivenienti dalla normativa europea e, in particolare, dalla Direttiva n.78/2000/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione, nel cui campo di applicazione rientra sicuramente la predetta fattispecie.
Ebbene, nelle citate sentenze la Corte di Cassazione ha affermato che: “In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di “handicap”, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, che discende, pur con riferimento a fattispecie sottratte “ratione temporis” alla applicazione dell’art. 3, comma 3 bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, di recepimento dell’art. 5 della Dir. 2000/78/CE, dall’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5, considerato l’obbligo del giudice nazionale di offrire una interpretazione del diritto interno conforme agli obiettivi di una direttiva anche prima del suo concreto recepimento e della sua attuazione”.
Avv. Lucia Martino