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La pensione di invalidità per i dipendenti pubblici

La pensione di invalidità per i dipendenti pubblici

Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Puglia – sentenza del 14.6.2023

Nel pubblico impiego sono previste diverse tipologie di trattamenti pensionistici per invalidità non derivante da causa di servizio, a seconda che in capo al lavoratore venga riscontrata una inabilità assoluta e permanente alla mansione, una inabilità assoluta e permanente a proficuo lavoro o una inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa.

L’inabilità assoluta e permanente alla mansione è connessa al tipo di attività svolta dal pubblico dipendente (cfr.: artt. 71 e 129 DPR n.3/1957) e si verifica quando il lavoratore perde i requisiti fisici e/o psichici essenziali per lo svolgimento delle sue mansioni. Il diritto alla pensione sorge solo se l’Amministrazione non può adibire il dipendente ad altre mansioni compatibili con la qualifica posseduta. 

Per ottenere la pensione di inabilità alla mansione occorrono i seguenti requisiti: 1) riconoscimento medico legale da parte delle competenti Commissioni ASL, le quali accertino che il dipendente è permanentemente inidoneo allo svolgimento della propria mansione; 2) almeno 15 anni servizio per i dipendenti dello Stato (cfr.: art.42 DPR n.1092/1973); almeno 15 anni di servizio, di cui 12 effettivi, per il personale del Comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico (cfr.: art.52 DPR 1092/1973); almeno 20 anni di servizio per i dipendenti degli Enti locali (cfr.: art.7, comma 1, lettera b), L. n.379/1955); 3) risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità.

L’inabilità assoluta e permanente a proficuo lavoro è analoga a quella precedente, ma impedisce, tuttavia, al dipendente di continuare a svolgere una attività lavorativa continua e remunerativa. Come per la precedente, anche in questo caso non si ha diritto alla prestazione se l’invalidità interviene dopo la cessazione del rapporto di lavoro. 

Per ottenere la pensione di inabilità al proficuo lavoro occorrono i seguenti requisiti: 1) riconoscimento medico legale dell’inabilità da parte delle competenti Commissioni ASL, che accertino, appunto, che il dipendente pubblico non è più idoneo a svolgere in via permanente attività lavorativa; 2) almeno 15 anni servizio sia per i dipendenti dello Stato, che per i dipendenti degli Enti locali; almeno 15 anni di servizio, di cui 12 effettivi, per il personale del Comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico (cfr. art.52 DPR 1092/1973); 3) risoluzione del rapporto di lavoro per dispensa dal servizio per inabilità permanente a proficuo lavoro(cfr: art.7 L. n.379/1955 e art.42 DPR n.1092/1973).

Per entrambe le fattispecie di inabilità i criteri di calcolo della pensione sono gli stessi previsti per la pensione ordinaria. La prestazione viene infatti, determinata sulla base del servizio posseduto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e decorre dal giorno successivo alla dispensa dal servizio. Il conseguimento della prestazione risulta, inoltre, compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa. Non si ha diritto alla prestazione se l’invalidità interviene dopo la cessazione del rapporto di lavoro. 

Il caso esaminato dalla Corte dei Conti nella sentenza in commento riguarda, invece, una fattispecie di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa

In particolare, l’art.2, comma 12, L. n.335/1995, nell’estendere ai dipendenti pubblici le disposizioni in materia di pensioni di inabilità (non dipendente da causa di servizio) previste dalla Legge n.222/1984 per i lavoratori del settore privato, ha stabilito che: “Con effetto dal 1° gennaio 1996, per i dipendenti delle Amministrazioni pubbliche di cui all’art.1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, cessati dal servizio per infermità non dipendenti da causa di servizio per le quali gli interessati si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, la pensione è calcolata in misura pari a quella che sarebbe spettata all’atto del compimento dei limiti di età previsti per il collocamento a riposo. ….. Ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di cui al presente comma è richiesto il possesso dei requisiti di contribuzione previsti per il conseguimento della pensione di inabilità di cui all’art.2 della legge 12 giugno 1984, n.222. …..”.

Con D.M. 8 maggio 1997, n.187 sono state dettate le disposizioni di dettaglio per l’operatività della predetta norma primaria. In particolare, l’art.2 del citato D.M. prevede che la pensione di inabilità spetta ai dipendenti in possesso dei seguenti requisiti:

  • anzianità contributiva di almeno cinque anni, di cui almeno tre nel quinquennio precedente la decorrenza del trattamento pensionistico;
  • risoluzione del rapporto di lavoro per infermità non dipendenti da causa di servizio;
  • riconoscimento dello stato di assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa conseguente a infermità non dipendente da causa di servizio.

La pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa decorre dal giorno successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. La prestazione è vitalizia e cessa, dunque, con la morte del pensionato. Essa, inoltre, è reversibile in favore dei superstiti aventi diritto.

Il riconoscimento della pensione di inabilità ex art.2, comma 12, L. n.335/1995 comporta l’attribuzione di un’anzianità convenzionale, come se l’iscritto avesse lavorato fino al compimento dei limiti di età e/o di servizio necessari per andare in pensione.

Questo tipo di prestazione, a differenza delle precedenti, è incompatibile con lo svolgimento di un lavoro dipendente o autonomo, sia in Italia che all’estero, e viene revocata nel caso vengano meno le condizioni per la sua concessione.

La vicenda sulla quale si è pronunciata la Corte dei Conti nella sentenza in commento era caratterizzata dal fatto che, a seguito della domanda con cui il lavoratore aveva chiesto l’avvio del procedimento per il riconoscimento della pensione di inabilità ex art.2, comma 12, L. n.335/1995, la Commissione Medica di Verifica, da un lato, aveva giudicato il lavoratore “Non idoneo permanentemente in modo assoluto al servizio come dipendente della Pubblica Amministrazione, dall’altro, aveva, contraddittoriamente, concluso che non sussistesse l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Sulla base del predetto giudizio, conseguentemente, il datore di lavoro aveva provveduto a disporre larisoluzione del rapporto di lavoro del dipendente, ai sensi dell’art.55-octies D.Lgs.n.165/2001, dell’art.15 D.P.R. n.461/2001 e del D.P.R. n.171/2011, mentre aveva disposto l’archiviazione della procedura per il riconoscimento della pensione di inabilità.

Nel giudizio dinanzi alla Corte dei Conti questo studio legale, oltre ad evidenziare che, alla luce della normativa regolante la materia (e, in particolare, del D.P.R. n.171 del 27.7.2011), il giudizio espresso dalla CMV si configurava erroneo e contraddittorio, produceva, comunque, copiosa documentazione, sia di servizio che sanitaria, attestante il possesso in capo all’ex dipendente pubblico del requisito ritenuto mancante e, pertanto, chiedeva che venisse disposta una consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare la condizione di assoluta e permanente impossibilità del ricorrente a svolgere qualsiasi attività lavorativa.

All’esito della disposta CTU, il Collegio Medico Legale presso la Corte dei Conti ha, in effetti, riconosciuto il ricorrente affetto da patologia che comporta l’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa e, conseguentemente, la Corte dei Conti gli ha riconosciuto il diritto a percepire la pensione di inabilità con i relativi arretrati.

Avv. Lucia Martino

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