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La mobilità nel pubblico impiego: sentenza Tribunale di Bari – Sezione Lavoro – 11.11.2022 (Est. Dott.ssa Agnese Angiuli)

La mobilità nel pubblico impiego: sentenza Tribunale di Bari – Sezione Lavoro – 11.11.2022 (Est. Dott.ssa Agnese Angiuli)

Con la sentenza in commento il Giudice del lavoro del Tribunale di Bari ha rigettato il ricorso proposto da un Dirigente pubblico che, avendo partecipato ad una procedura di mobilità volontaria regionale, interregionale ed intercompartimentale, indetta ai sensi dell’art.30 D. Lgs. n.165/2001 e s.m.i., si era visto negare il nulla osta alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza e, sul presupposto che il diniego del nulla osta si configurasse illegittimo, aveva rivendicato in giudizio il diritto ad essere assunto alle dipendenze dell’Amministrazione di destinazione (quella che aveva indetto il bando di mobilità).

L’istituto della mobilità, per come disciplinato dal legislatore (anche sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale con sentenze n. 390/2004 e n. 88/2006), è un criterio di organizzazione per governare i processi di acquisizione del personale e contenere la spesa pubblica, senza che sia previsto in capo al lavoratore un diritto soggettivo ad ottenere il trasferimento.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, ripetutamente affermato che lo schema riprodotto dalla mobilità volontaria integra una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro che necessita del triplice consenso delle parti interessate (amministrazione di appartenenza, lavoratore e amministrazione di destinazione), realizzando in tal modo una cessione del contratto ex art.1406 c.c. (cfr.: Cass., SS.UU., n.32624/2018; Cass., Sez. Lav., n.431/2019).

Nel rigettare il ricorso proposto dal lavoratore, il Giudice del lavoro del Tribunale di Bari ha recepito integralmente la tesi difensiva di questo studio legale – che in giudizio rappresentava l’Amministrazione di appartenenza del lavoratore – evidenziando che, in base al citato art.30 T.U.P.I., non è configurabile un diritto soggettivo perfetto del dipendente al trasferimento, in quanto, nel sistema delineato dal legislatore, l’assenso dell’Amministrazione di appartenenza costituisce un elemento indefettibile del procedimento di mobilità volontaria, rimesso alla discrezionale valutazione della stessa.

Né il Legislatore, contrariamente a quanto era stato eccepito dal lavoratore in giudizio, ha in alcun modo previsto un trattamento di favore per la mobilità dei dirigenti. Infatti, l’art.23, comma 2, TUPI (che era stato al riguardo invocato dal ricorrente), richiama espressamente, anche per la mobilità dei dirigenti, l’art.30 dello stesso testo unico.

Stabilisce, infatti, la norma: E’ assicurata la mobilità dei dirigenti, nei limiti dei posti disponibili, in base all’art.30 del presente decreto. I contratti collettivi nazionali disciplinano, secondo il criterio della continuità dei rapporti e privilegiando la libera scelta del dirigente, gli effetti connessi ai trasferimenti e alla mobilità in generale in ordine al mantenimento del rapporto assicurativo con l’ente di previdenza, al trattamento di fine rapporto e allo stato giuridico legato all’anzianità di servizio e al fondo di previdenza complementare”. 

E’ solo con riferimento alla disciplina di tali effetti specifici della mobilità che si prevede, dunque, di tenere conto, da parte dei contratti collettivi, della libera scelta del dirigente.

Per cui, alcuna disciplina derogatoria, né oneri aggiuntivi in termini di motivazione sono previsti per la mobilità dei dirigenti.

Del resto, in base all’art.30, comma 2.2, TUPI, i contratti collettivi possono solo integrare le procedure e i criteri generali per l’attuazione di quanto previsto nei commi 1 e 2, mentre è espressamente prevista la sanzione della nullità per gli atti, gli accordi e le clausole dei contratti collettivi in contrasto con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2.

Ed allora, mancando una posizione giuridica soggettiva del dipendente qualificabile come diritto soggettivo perfetto, e dovendosi qualificare la stessa quale aspettativa di diritto, a rigore, la relativa lesione, afferma il Giudice del lavoro, potrebbe trovare tutela giurisdizionale solo in termini risarcitori (nel caso di specie neppure richiesta), dal momento che l’assenza del nulla osta impedisce al Giudice di sostituirsi al datore di lavoro e di riconoscere al lavoratore un diritto mai sorto.

Inoltre, sebbene la norma non preveda un obbligo di motivazione al riguardo – che il Giudice ha ritenuto, tuttavia, sussistere (seppure in misura non particolarmente stringente) in base alle clausole di correttezza e buona fede, che debbono, comunque, sempre ispirare la condotta del datore di lavoro -, nel caso di specie l’Amministrazione di appartenenza aveva anche congruamente motivato il diniego al nulla osta alla mobilità, adducendo e documentando carenze di organico nello specifico profilo professionale.

Il caso esaminato dal Tribunale di Bari si era perfezionato prima delle modifiche apportate alla norma dal D.L. n.80/2021, conv. con mod., dal D.L. n.146/2021, conv. con mod. in L. n.115/2021, e, da ultimo, dal D.L.n.36/2022, conv. con mod. in L.n.79/022. Si tratta di modifiche che, tuttavia, non intaccano in alcun modo la validità delle predette argomentazioni.

Infatti, in base all’attuale formulazione dell’art.30 TUPI (risultante dalle citate modifiche legislative) non è più richiesto in via generale il previo assenso alla mobilità da parte dell’Amministrazione di appartenenza; tuttavia, tale assenso continua ad essere richiesto ed è necessario nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall’Amministrazione cedente o di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente, tutte situazioni che, come era stato evidenziato da questa difesa in giudizio, nel caso esaminato dal Giudice del lavoro nella sentenza in commento erano effettivamente riscontrabili.

Avv. Lucia Martino

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