La distribuzione dell’onere della prova in materia di sanzioni disciplinari
Tribunale di Foggia – Sezione lavoro – sentenza n.1359/2025 del 13.6.2025
Con la sentenza in commento il Tribunale di Foggia ha respinto il ricorso proposto da un datore di lavoro avente ad oggetto l’accertamento della legittimità della sanzione disciplinare comminata ad un proprio dipendente e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da questo studio legale, che in giudizio difendeva i diritti del lavoratore, ha annullato la sanzione della multa, condannando il datore di lavoro a restituire al lavoratore le somme trattenute a tale titolo in busta paga, oltre al pagamento delle spese processuali.
In particolare, il Giudice del lavoro con la citata sentenza ha rilevato come fossero rimaste prive di qualsivoglia supporto probatorio le circostanze sulla cui base era stata inflitta al lavoratore la sanzione disciplinare.
La sentenza in commento offre lo spunto per riflettere sui criteri di riparto dell’onere probatorio nella materia delle sanzioni disciplinari.
A tal proposito è opportuno premettere che il principio, posto dall’art.5 della legge 15 luglio 1966 n. 604, secondo cui ricade sul datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, è estensibile anche alla materia delle sanzioni disciplinari c.d. conservative, nel senso che spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti di fatto, oggettivi e soggettivi.
In particolare, grava sul datore di lavoro l’onere probatorio relativo sia al fatto nella sua materialità, sia al rispetto delle condizioni di validità ed efficacia delle sanzioni; una volta provato il fatto, spetterà al lavoratore che voglia evitare la sanzione la prova della non imputabilità dell’inadempimento.
Tale regola può trarsi in via d’analogia dalla disposizione di cui all’art.5 L.n.604/66 ed, altresì, dalle norme generali in tema di adempimento.
Infatti, poichè generalmente il comportamento del lavoratore che dà luogo a responsabilità disciplinare dovrà qualificarsi come ipotesi di adempimento inesatto, il datore, al pari che per ogni altro creditore, dovrà in concreto replicare alla prova dell’adempimento avversario, provando la violazione oggetto di contestazione.
Il datore di lavoro, dunque, deve provare tutti gli elementi costitutivi del potere disciplinare (fatto, tempestività e analiticità della contestazione, rispetto del principio di proporzionalità, affissione del codice, quando richiesta), quali presupposti, oggettivi e soggettivi, del potere disciplinare, non potendosi avvantaggiare di una sorta di presunzione di legittimità, come avviene, invece, per l’esercizio dello jus variandi, in relazione al quale si applica il principio per cui il demansionamento deve essere provato dall’attore.
Ne consegue che, in disparte dalle norme processuali che impongono alle parti di prendere precisa posizione sui fatti di causa (ex art.416 c.p.c.), appare legittima anche la sola impugnazione del lavoratore che si limiti a contestare la legittimità della sanzione, senza nulla allegare.
Nel caso di specie il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova dei fatti contestati al lavoratore.
Occorre, poi, soffermarsi su di un’altra importante questione giuridica che era stata prospettata da questo studio legale in giudizio e che è rimasta assorbita nella sentenza in commento.
In particolare, il lavoratore nel costituirsi in giudizio, oltre alla infondatezza della contestazione, aveva eccepito anche la decadenza del datore di lavoro, ex art.7, comma 7, Stat. Lav., dalla possibilità di far accertare giudizialmente la presunta legittimità della sanzione irrogata nei suoi confronti, per essere detta sanzione ormai divenuta inefficace.
L’art.7, comma 7, della L. n.300/1970 stabilisce che “Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio”.
Ebbene, per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., tra le tante, Corte di Cassazione – Sezione lavoro – n.14352/2015 del 9.7.2015; Corte Cost. n.586/1989; Tribunale di Milano 31.1.2000), laddove il lavoratore promuova la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato per l’impugnazione di una sanzione disciplinare, ai sensi dell’art.7, comma 7, l. n.300 del 1970, il datore di lavoro deve provvedere, nel termine di 10 giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante o ad adire l’autorità giudiziaria, pena la perdita di efficacia della sanzione medesima.
Nel caso di specie, l’ITL di Foggia aveva invitato il datore di lavoro a designare il proprio rappresentante in seno al Collegio di Conciliazione ed Arbitrato con nota trasmessagli via pec il 14.4.2022.
Il datore di lavoro, tuttavia, con nota del 14.4.2022, trasmessa via pec in pari data, aveva comunicato di non accettare la procedura arbitrale e di volere adire l’A.G..
Pertanto, nel termine di 10 giorni dal predetto invito e, quindi, entro e non oltre il 24.4.2022, il datore di lavoro avrebbe dovuto provvedere a depositare il ricorso giudiziario finalizzato a far accertare la presunta legittimità della sanzione.
Nel caso di specie, tuttavia, l’azione giudiziaria era stata intrapresa dal datore di lavoro il 26.4.2022, dopo la scadenza del predetto termine, e, pertanto, era, oramai, improponibile per intervenuta decadenza.
Infatti, in analoga fattispecie la Corte di legittimità (cfr.: Cass., S.L., n.16050/2000) ha affermato che: “… Il termine dieci giorni non è fissato per la proposizione dell’azione giudiziaria, bensì per la nomina del rappresentante datoriale in seno al collegio arbitrale. E, poiché questa nomina deve essere fatta in dieci giorni, la scadenza di questo termine determina l’inefficacia della sanzione. L’azione giudiziaria, che il datore di lavoro proponga, protrae la sospensione dell’efficacia solo se questa efficacia è ancora sospesa: non la protrae se la sanzione ha perduto il proprio effetto per la pregressa scadenza del termine fissato per la nomina. Dopo la scadenza di questo termine, l’azione diventa improponibile: non in quanto sia stata proposta oltre il termine fissato per la sua proposizione, bensì in quanto il suo oggetto non sussiste (“la sanzione disciplinare non ha effetto”; e pertanto, in questa ipotesi, l’azione non diventerebbe inammissibile, bensì resterebbe infondata). Quanto in proposito affermato da Cass. 17 gennaio 1998 n.397 (per cui “il datore di lavoro che abbia intimato una sanzione disciplinare tempestivamente impugnata dal lavoratore con richiesta di formazione del collegio arbitrale, deve, per evitare l’inefficacia della sanzione, proporre l’azione giudiziaria nel termine di dieci giorni dall’invito da parte dell’UPLMO a nominare il rappresentante in seno al collegio arbitrale”) è solo l’indiretta indicazione di questo meccanismo (attraverso i limiti del potere riconosciuto al datore). Con la richiesta di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato, si apre pertanto un nuovo iter, che incide sull’iniziale (ex art.5 quinto comma della predetta legge) efficacia della sanzione: il lavoratore ha diritto alla sospensione degli effetti della sanzione, ed il datore di lavoro ha il diritto alla conservazione di questa efficacia sospesa. Con la scadenza del termine di dieci giorni (dalla recezione dell’invito dell’UPLMO), la situazione muta: la sanzione “resta senza effetto”. Il datore perde il diritto alla sanzione (ed il lavoratore acquista il simmetrico diritto di essere sottratto alla sanzione); la scadenza del termine di dieci giorni costituisce il fatto che determina la perdita (“estinzione”) del preesistente diritto. …..”.
Tuttavia, detta questione non è stata esaminata dal Tribunale di Foggia, per essere stata assorbita da quella preminente relativa alla mancanza di prova dei fatti posti a fondamento della sanzione.
Avv. Federica Volpe Avv. Lucia Martino