Il trasferimento del dipendente immesso in ruolo a seguito di procedura di mobilità
ordinanza Tribunale di Foggia – Sezione Lavoro – 4.10.2023
(Est. Dott. Mario De Simone)
Con la ordinanza in commento il Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia ha accolto il ricorso cautelare proposto da una dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale, con cui era stato impugnato il provvedimento di trasferimento adottato dopo che la lavoratrice aveva utilmente partecipato ad una procedura di mobilità finalizzata all’immissione in ruolo del personale che già si trovava in servizio presso l’Azienda in posizione di comando.
In particolare, l’art.30, comma 2-bis, D.Lgs.n.165/2001 e s.m.i., stabilisce che “Le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria”.
All’esito della predetta procedura di mobilità veniva adottata dall’Azienda Sanitaria la delibera contenente l’elenco dei concorrenti in possesso dei requisiti richiesti dal bando, tra cui la ricorrente, subordinandosi la loro immissione in ruolo, oltre che al rilascio del nulla osta definitivo da parte dell’Amministrazione di provenienza, anche alla sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro con l’Amministrazione di destinazione.
La lavoratrice, dopo avere ottenuto il nulla osta definitivo dall’Amministrazione di provenienza, provvedeva a sottoscrivere il nuovo contratto di lavoro con l’Azienda di destinazione, in cui veniva confermata la stessa sede di servizio già occupata in posizione di comando.
Dopo la sottoscrizione del predetto contratto, tuttavia, l’Azienda Sanitaria si rifiutava di dar corso all’immissione in ruolo, pretendendo a tal fine dalla lavoratrice la sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, in sostituzione di quello precedente, con la modifica della originaria sede di servizio.
A seguito di diverse diffide con cui la lavoratrice denunciava l’illegittimità del predetto comportamento datoriale, l’Azienda Sanitaria adottava la disposizione di servizio che disponeva il suo trasferimento alla nuova e più gravosa sede di servizio.
Il Giudice del lavoro, dopo avere acquisito il contratto di lavoro sottoscritto dalla lavoratrice, ha accolto il ricorso evidenziando che il provvedimento impugnato non integrava affatto una prima assegnazione di sede, come era stato eccepito dal datore di lavoro in giudizio, trattandosi, effettivamente, di un trasferimento, adottato, tuttavia, in violazione di legge.
In particolare, il Giudice del lavoro ha, in primo luogo, rilevato che nel bando di mobilità, contrariamente a quanto imposto dall’art.30 D.Lgs.n.165/2001, non erano stati indicati i posti da coprire e che, pertanto, tale omissione aveva ingenerato il legittimo affidamento nella lavoratrice che il posto da coprire fosse quello che già le era stato assegnato in posizione di comando.
Inoltre, il Giudice del lavoro ha evidenziato che, in ogni caso, con riferimento alla individuazione della sede, il datore di lavoro non poteva “abbandonarsi ad un’idea di arbitrarietà”, in quanto avrebbe dovuto pubblicare le sedi e consentire la scelta sulla base di parametri affidabili e trasparenti (quello del merito innanzitutto, con valutazione di eventuali ulteriori situazioni).
Infine, il Giudice del lavoro ha rilevato che il contratto di lavoro, diversamente da quanto era stato eccepito dal datore di lavoro, risultava essere stato effettivamente stipulato dalla lavoratrice e prevedeva la stessa sede di lavoro già occupata dalla ricorrente in posizione di comando, in tal modo smentendosi la tesi datoriale che qualificava la nuova sede di servizio come una “prima assegnazione di sede”.
Chiarita la natura di trasferimento del provvedimento impugnato, il Giudice del lavoro ha, pertanto, rimarcato come qualsiasi spostamento di sede avrebbe dovuto seguire la disciplina legislativa in materia di trasferimento dei lavoratori e, in particolare, l’art.2103 c.c.
A tal proposito la lavoratrice aveva evidenziato in ricorso che, in base al testo attualmente in vigore dell’art.30, comma 2, D.Lgs.n.165/2001, la possibilità per il datore di lavoro pubblico di trasferire il dipendente ad altra sede, senza la necessità di dovere dimostrare le sottostanti ragioni tecniche, organizzative e produttive, è limitata alle sole ipotesi di trasferimento in sedi collocate nello stesso Comune ovvero a distanza non superiore a 50 Km dalla sede cui i lavoratori sono adibiti.
In tutti i restanti casi (come in quello esaminato nella ordinanza in commento, in cui la lavoratrice era stata trasferita ad una sede distante oltre 60 Km) trovano, invece, integrale applicazione le disposizioni di cui all’art.2103 c.c..
Il datore di lavoro, pertanto, avrebbe dovuto provare la sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del trasferimento della lavoratrice, laddove, nel caso di specie, come evidenziato nella ordinanza in commento, a fronte della decisa contestazione della ricorrente, nulla aveva indicato “limitandosi a trincerarsi dietro un’idea di arbitrarietà (non potendosi parlare di discrezionalità in assenza di qualsiasi parametro che consenta di ritenere il perseguimento del pubblico interesse nel caso concreto) nell’assegnazione della prima sede. Del resto la sede di …. risultava coperta e la scopertura è stata determinata dal trasferimento di altra lavoratrice; delle motivazioni e della razionalità sottesa a tali spostamenti a catena nulla è dato sapere. In assenza di ulteriori elementi deve ritenersi l’illegittimità del trasferimento ….”.
In considerazione di ciò, e ravvisata, altresì, la sussistenza nel caso di specie del requisito del periculum in mora (connesso sia alla esigenza della lavoratrice di prestare assistenza ai genitori anziani e bisognosi di cure, che a motivi di salute personali della stessa lavoratrice), il Giudice del lavoro ha accolto il ricorso cautelare, ordinando all’Azienda Sanitaria di assegnare la lavoratrice alla originaria sede di lavoro.
Sebbene non esaminata nella ordinanza in commento, in quanto ritenuta superata dalla produzione in giudizio del contratto di lavoro sottoscritto dalla lavoratrice, occorre, infine, dar conto di un’altra importante questione giuridica sottoposta da questo studio legale all’attenzione del Giudice del lavoro.
In particolare, a fronte della pretestuosa eccezione datoriale secondo cui tra le parti non intercorreva alcun rapporto di lavoro, in quanto la lavoratrice si era rifiutata di sottoscrivere il contratto di lavoro, questa difesa aveva evidenziato che la stipula di un nuovo contratto di lavoro (che pure era avvenuta nel caso di specie) non si configurava affatto necessaria, in quanto la procedura di mobilità (cd. per passaggio diretto) non determina la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, rappresentando un particolare strumento attuativo del trasferimento del personale da un’Amministrazione ad un’altra.
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, ripetutamente affermato che lo schema riprodotto dal passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse, nel quale è inquadrabile anche il passaggio a seguito di procedura di mobilità volontaria, integra una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro che necessita del triplice consenso delle parti interessate (Amministrazione di appartenenza, lavoratore e Amministrazione di destinazione), realizzando in tal modo una cessione del contratto ex art.1406 c.c. (cfr.: Cass., SS.UU., n.32624/2018; Cass., Sez. Lav., n.431/2019).
In particolare, è stato affermato (cfr.: Corte di Cassazione – SS.UU. – 12.12.2006, n.26420) che “Nel lavoro pubblico, la mobilità volontaria presso altra amministrazione integra una fattispecie diversa dall’assunzione e consiste nella modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto, con continuità del suo contenuto, che comporta conservazione dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico; ne consegue che è illegittima la pretesa della stipulazione di un nuovo contratto di assunzione e di un nuovo patto di prova con l’amministrazione di destinazione”.
Lo stesso CCNL Comparto Sanità del 2.11.2022, all’art.63, nel richiamare l’art.30 TUPI, stabilisce che la mobilità non comporta novazione del rapporto di lavoro, il fascicolo personale segue il dipendente trasferito, e che, fermo restando che l’attivazione della mobilità richiede il consenso dell’ente o azienda di appartenenza, la partecipazione al bando avviene anche senza il preventivo assenso della stessa. L’Azienda o Ente di appartenenza, ricevuta la richiesta di assenso, risponde motivatamente entro 30 giorni.
Pertanto, l’immissione in ruolo della lavoratrice non presupponeva affatto la sottoscrizione di un nuovo contratto individuale di lavoro con l’Azienda di destinazione, in quanto la fattispecie si era già perfezionata con l’incontro delle volontà dei tre soggetti interessati, quale risultava dalla prova documentale offerta in giudizio dalla ricorrente.
In considerazione di ciò, il rapporto di lavoro tra le parti era da considerarsi indiscutibilmente esistente, come, del resto, è stato acclarato dal Giudice del lavoro anche sulla base della considerazione che il provvedimento di trasferimento impugnato presupponeva, comunque, l’avvenuta immissione in ruolo della lavoratrice.
Avv. Lucia Martino