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I LIMITI DI VALIDITA’ DELLE TRANSAZIONI GIUDIZIALI/SINDACALI

I LIMITI DI VALIDITA’ DELLE TRANSAZIONI GIUDIZIALI/SINDACALI

Corte di Appello di Bari – S.L. – n.1003/2014

confermata da Cass. S.L. n.20913/2020

Con sentenza n.1003/2014 (che si pubblica in allegato) la Corte di Appello di Bari – Sezione lavoro –, accogliendo l’appello avverso la sentenza di rigetto del 30.1.2009 del Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia, dichiarava la nullità di una transazione giudiziale che era intervenuta nel 2004 tra un Ente locale (rappresentato e difeso in giudizio dalla sottoscritta), ed un suo dipendente, ordinando a quest’ultimo di restituire tutte le somme che aveva percepito in esecuzione della predetta transazione.

Con la predetta transazione giudiziale, in particolare, il lavoratore, inquadrato nella Cat. “C” CCNL Comparto Regioni Autonomie Locali, conseguiva l’inquadramento nella superiore Cat. “D” ed il pagamento delle corrispondenti differenze retributive.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari proponeva ricorso per cassazione il lavoratore.

La Corte di Cassazione, tuttavia, con la recentissima ordinanza n.20913/2020 ha confermato la sentenza della Corte di Appello, rilevando la correttezza del relativo argomentare.

Ebbene, negli ultimi giorni le pronunce in commento hanno suscitato non poche reazioni e commenti, soprattutto da parte di chi vi ha scorto il pericolo che in tal modo possano essere rimessi in discussione gli accordi che tra lavoratore e datore di lavoro vengono conclusi nelle sedi considerate tradizionalmente protette (sindacale o giudiziale), alla luce di quanto previsto dall’art.2113 c.c..

In realtà, a parere della sottoscritta, si tratta di preoccupazioni assolutamente infondate, in quanto non si può prescindere dal considerare, da un lato, le peculiarità della fattispecie concreta sulla quale Corte di Appello e Corte di Cassazione si sono pronunciate (fattispecie parecchio complessa e che aveva visto persino il coinvolgimento della Corte dei Conti), dall’altro, che in dette pronunce non è stato affermato nulla di nuovo, ribadendosi in materia principi ormai consolidati della Corte di legittimità, secondo cui la conciliazione giudiziale in materia di diritti del lavoratore garantiti da disposizioni inderogabili di legge si sottrae all’impugnazione prevista dall’art.2113 c.c., ma non ai mezzi ordinariamente concessi alle parti di un contratto per farne valere i vizi che possono inficiarlo.

In particolare, come più volte chiarito dalla Corte di Cassazione, agli atti di transazione e rinuncia espressamente disciplinati dal comma 4 dell’art.2113 c.c., intervenuti ai sensi degli art.185, 410 e 411 c.p.c., non si applicano le disposizioni dei primi tre commi del detto articolo, ma sono assoggettabili, come qualsiasi altro negozio giuridico, alle azioni di nullità e di annullamento ai sensi dell’art.1418 e ss. e 1441 e ss. c.c. .

Nel caso di specie l’Ente locale si era trovato, per una serie di ragioni di carattere tecnico-giuridiche (si pensi alla mancata previsione del posto in pianta organica), nella impossibilità di eseguire una transazione giudiziale che, peraltro, era stata stipulata dalla precedente Amministrazione, e, per questo, l’aveva impugnata dinanzi al Giudice del lavoro, eccependo, tra i molteplici vizi, la “NULLITA’ DELLA TRANSAZIONE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT.1325 E 1346 C.C.: contrarietà del contratto a norme imperative, impossibilità, indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto”.

Le norme imperative di legge che nel caso di specie erano state violate, come accertato dalla Corte di Appello di Bari, erano quelle che presiedono il reclutamento del personale e le progressioni verticali nelle PP.AA., di cui agli artt.97 Cost. e 35 TUPI, profilo che sicuramente poteva essere oggetto di accertamento giudiziale ai sensi dell’art.2113 c.c..

Nel confermare la sentenza di appello, la Corte di legittimità ha ribadito quanto già da essa era stato affermato in precedenti pronunce che si erano occupate della interpretazione da darsi alla specifica norma contrattuale, evidenziando che il passaggio alla superiore categoria “D” non era previsto dalla norma in questione come effetto automatico e diretto, ma presupponeva (in conformità a quanto previsto dall’art.97 Cost. e 35 D.Lgs.n.165/2001) l’attivazione di procedure selettive, mediante valutazioni di titoli culturali, professionali e di servizio.

In particolare, afferma la Corte di Cassazione: “… si aggiunga che le censure, nella parte in cui sostanzialmente si incentrano sulla pretesa sussistenza di un automatismo contrattualmente nell’attribuzione del livello D1 e sulla diversità della situazione oggetto di causa rispetto a quella del riconoscimento di mansioni superiori, neppure scalfiscono il ragionamento della Corte territoriale che ha mostrato consapevolezza dei principi di diritto affermati in sede di legittimità Corte laddove, a sostegno della ritenuta illegittimità della transazione stipulata tra il Comune di …. e …., ha posto la regola generale di cui all’art. 97 Cost., funzionale ad assicurare il rispetto dei principi di efficiente ed imparzialità nell’organizzazione ed azione amministrativa; questa Corte, pronunciandosi proprio con riferimento all’art. 29 del c.c.n.l. (v. Cass. 9 maggio 2006, n. 10528; Cass. 22 giugno 2010, n. 15056; Cass. 16 gennaio 2017 n. 852), ha evidenziato che la disciplina legale del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (desunta principalmente dall’art. 97 Cost., secondo la lettura che ne ha dato ripetutamente la Corte costituzionale, del quale sono attuazione il D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 52), non consente inquadramenti automatici del personale, neppure in base al profilo professionale posseduto o alle mansioni svolte ed altresì precisato che nel caso di passaggio da un’area di inquadramento ad altra superiore (come nella specie, da C a D), è richiesta, di norma, una procedura concorsuale pubblica con garanzia di adeguato accesso dall’esterno; così è stato evidenziato che l’indicata disposizione contrattuale non si pone in contrasto con i richiamati principi e regole inderogabili, siccome si limita a disporre che le amministrazioni devono assumere le iniziative necessarie per realizzare il passaggio alla categoria D, posizione economica D1, del personale dell’area di vigilanza dell’ex 6a q.f., nel caso in cui, per il suddetto personale, ricorrano le condizioni descritte nel comma 1, lett. a), b) e c); con la conseguenza, ben posta in rilievo nei precedenti citati, che manca ogni automatismo e che l’inquadramento nella categoria superiore è condizionato all’esito positivo delle procedure previste; le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 28328 del 22 dicembre 2011, hanno ulteriormente ribadito che, alla luce della suddetta interpretazione della norma collettiva (la quale, diversamente opinando, violerebbe i già richiamati principi e norme inderogabili), deve convenirsi che anche la verifica selettiva di cui all’art. 29 c.c.n.l., comma 5, citato, prevista per il personale di cui ai punti a) e b) del comma 1, costituisce comunque, al pari delle selezioni previste per il personale di cui alla lett. c) medesimo comma 1, una procedura selettiva di tipo concorsuale per il passaggio alla categoria superiore, con conseguente applicazione del principio fissato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4; la normativa contrattuale, dunque, demanda all’amministrazione l’assunzione delle “iniziative necessarie” per realizzare il suddetto passaggio di categoria, nonchè l’istituzione nella dotazione organica dei corrispondenti posti della categoria superiore; ancorchè in attuazione di un accordo sindacale, le suddette attività, di carattere discrezionale, sono quindi lasciate all’amministrazione, la quale, peraltro, dovrà assumere tali iniziative al fine di attuare una verifica selettiva del personale interessato, previsione, quest’ultima, che non avrebbe ragion d’essere laddove il mero possesso del requisito previsto dall’accordo sindacale comportasse il diritto soggettivo al transito nella categoria superiore; quindi, nella specie, non poteva sussistere alcun automatismo e l’inquadramento era condizionato all’esito positivo delle procedure previste, in totale conformità con le previsioni di cui all’art. 97 Cost.; ….”.

La Corte di Cassazione ha, dunque, rilevato che, nel caso di specie, la transazione contenuta nella conciliazione giudiziale che aveva posto fine alla lite a suo tempo promossa dal lavoratore, era sottratta, in quanto perfezionatasi in giudizio, al regime della impugnabilità di cui all’art. 2113 c.c. (v. comma 4 art. cit.), mentre restavano esperibili le normali azioni di nullità e di annullamento dei contratti, rispetto alle quali, pertanto, l’intervento del giudice (limitato al rispetto delle formalità di cui all’art. 88 disp. att. c.p.c.) non poteva esplicare alcuna efficacia sanante o impeditiva (v. si veda, ad esempio, Cass. 6 marzo 1984, n. 1552 in una fattispecie di illiceità della causa; Cass. 2 febbraio 1991, n. 10056 in tema di determinabilità dell’oggetto del negozio transattivo).

Importante, poi, la precisazione della Corte di Cassazione secondo cui, infatti, è riguardo ai diritti già maturati, che il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili comporta appunto, in forza dell’art. 2113 c.c., l’eventuale mera annullabilità dell’atto di disposizione, ma non la sua nullità.

Invece, è nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati (come era accaduto nella fattispecie concreta) che la preventiva disposizione può comportare la nullità dell’atto, poichè esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge o di contratto collettivo (Cass. 13 marzo 1992, n. 3093; Cass. 13 luglio 1998, n. 6857; Cass. 14 dicembre 1998, n. 6857; Cass. 8 novembre 2001, n. 13834; Cass. 26 maggio 2006, n. 12561).

Gli effetti attribuiti al verbale di conciliazione giudiziale non possono, del resto, equipararsi a quelli di una sentenza passata in giudicato, bensì a quelli di un titolo contrattuale esecutivo, con la conseguenza che esso resta soggetto alle ordinarie sanzioni di nullità.

Avv. Lucia Martino

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